lunedì 19 novembre 2012

L'amore è in crisi: tra Haneke e Last Night



Chi ha identificato Amour (il film di Haneke) come film sulla morte, secondo me non ha colto uno degli aspetti più importanti della pellicola, e cioè la morte sì, ma dell'amore. L'amore non esiste più, è finito quando Georges e Anne sono usciti fuori dal loro appartamento come vediamo in una delle ultime meravigliose sequenze del film. E' finito perché le generazioni odierne, che siano i 30enni o i 60enni, non sanno più cosa sia. Haneke è il regista fastidioso per eccellenza, vedere un suo film equivale a subire un atroce mal di denti per due ore. Non fa eccezione Amour, ma io lo sapevo. Il fastidio impedisce alla commozione di salire sino al condotto lacrimale. Poi sono uscita dalla sala ed ho pianto.
Georges e Anne hanno una figlia, interpretata da Isabelle Huppert (tanti i punti di contatto con La pianista, infatti): Eva.
Eva non capisce perché non conosce l'amore, emblematica la frase (cito a braccio) "mi ricordo quando vi sentivo fare l'amore, mi piaceva perché voleva dire che vi amavate ancora". Non è questo, l'amore. Georges lo sa, Eva no. "Voleva dire che vi amavate ancora" è nostalgia, come se i due genitori ottantenni non si amassero più; come se l'amore rientrasse in uno schema comportamentale, come se avesse una forma precisa e uno svolgersi accettabile dalle convenzioni.
La malattia forza la porta del signorile appartamento di Georges e Anne, una sera. E Anne comincia a percorrere la strada verso la morte. In assenza di colonna sonora, con una fotografia giocata sui toni del marrone, del grigio e dell'ocra, il regista mostra ciò che non vogliamo vedere e impedisce, con le inquadrature che io chiamo "da stronzo", di farci vedere ciò che invece vorremo guardare.
E' Haneke, il solito.

Succede poi che, appartenendo alla generazione di chi non sa e non saprà mai cosa è l'amore, decido (insieme al mio compagno) di distrarmi con un film che parla d'amore, anche d'amore problematico, ma che lo faccia con leggerezza. Il film in questione è Last Night della stessa regista israeliana di The Jacket (film che non ho visto per antipatia a pelle). Last Night è un film di merda. Di quella merda vera. Un film sui 30enni. Quindi solo per quello dovevo immaginarlo sarebbe stato un film di merda. A metà tra la pubblicità di un profumo e uno spot su quant'è lussuriosa NYC di notte, si snodano le vicende notturne di un quartetto di merda, di merda quasi quanto il film di merda, anzi di più. Due attricette di merda quali Keira Knightely e Eva Mendes e due patatoni con la faccia da patate: Sam Vatteloapesca (quello di Avatar) e Guillet Carnet (un attorino francese che qui fa la figura dello scemo del villaggio).
La trama? Interessantissima. Keira e Sam sono due trentenni sposati che vivono in un appartamento molto figo, anzi, cool, a NYC. Una sera lei indossa una canottiera bianca e un paio di mutande dell'Oviesse; un completo nero pantaloni sformati e maglione, e se ne va col suo patatone ad una festa molto cool. A sta festa conosce Eva Mendes, la collega del marito-patata, e si rende conto (con orrore) che è phiga più di lei. Al rientro a casa, Keira pianta su un pippone infinito al marito-patata (quello che io chiamo pippone preventivo) dicendogli frasi tipo "aaaaah ma la tua collega è phiga, allora ecco perché vai a lavorare contento, sicuramente te la sei fatta..."ecc ecc ecc. Dopo un quarto d'ora di sto pippone (nel frattempo il marito-patata sposta una pila di riviste per mettere in carica il cellulare...aaaaah scena madre) uno direbbe anche amore che ne dici se lo spegniamo il film e andiamo a giocare a Monopoli?, ma no, masochisti sino in fondo continuiamo la visione. Insomma la scena notturna finisce con delle uova strapazzate, la pace coniugale, bacetti, tarallucci e vino, e lui che incravattato parte per Philadelphia causa lavoro. Ovviamente con la collega phiga.
Keira per ammazzare il tempo, invece di farsi una pizza e metter su due etti di carne sulle ossa, esce a prendere un caffè (lavorare no eh? vi fa schifo a voi mogli) e chi ti incontra? Cioè domandiamocelo: chi è che incontri tu, donna comune, che esci una mattina per prenderti un caffè al bar di sotto, in una città di due milioni di abitanti? Ma l'ex di cui sei ancora innamorata e che sta a Parigi! Ma che domande...
Insomma, dopo facce e faccette di meraviglia e frasi originalissime tipo "tu qui??? non ci posso credere!!", lui la invita a cena e lei acconsente. Seguono scene meravigliose di metamorfosi femminile: la canotta bianca a costine da manovale della Val di Susa e le mutande dell'Oviesse spariscono, prendono il loro posto reggiseni imbottiti e slip di pizzo. Poi la Keira si depila le gambe (ecco, una normalmente aspetta di incontrare l'ex che sta a Parigi per depilarsi le gambe), si scioglie i capelli, si trucca (come per la prima volta), si infila un vestitone lungo con spacco e scarpe con tacco 12 e va a cena con l'ex parigino. La cena è a quattro, c'è anche un'altra coppia. Quindi lui non può infilarle la mano tra la cosce...ufff.
Nel frattempo a Philadelphia il marito-patata porta Eva Mendes in giro per locali, la fa bere, lei brilla confessa a lui che se lo scoperebbe, lui con l'aria contrita e sofferente tergiversa (nei frattempo io e il mio compagno contiamo le battute che ci separano dalla frase "sono un uomo sposato"). Eva Mendes la phiga con un'anima racconta al marito-patata che il suo ragazzo è morto, il marito-patata si gratta i coglioni ma la regista ha deciso di mostrare solo primi piani...
Ma a NY che accade? Beh accade che mi sono assopita e mi sono svegliata quando Keira prende un labrador..non so sto labrador da dove sia uscito, solo solo che lo porta con sè nottetempo nella stanza d'albergo dove alloggia l'ex parigino. La camera d'albergo è, manco a farlo apposta, tutta sui toni del rosso. Molto cool, molto pubblicità di dopobarba costoso, fate uscire David Gandy e facciamola finita, su.
A Philadelphia la questione è sempre più scottante: i due sono adesso immersi in una piscina, però parlano a distanza. Lei non fa che ripetere che ci starebbe, ma lui pare ancora indeciso. Insomma, le corna ci saranno, il problema è stabilire quando. Alle 3, alle 4..boh, forse alle 5 del mattino. Capisci che manca poco quando Eva Mendes esce dalla piscina e mostra le chiappe sotto le trasparenze di una sottoveste bagnata. Lui, manco a dirlo, fa lo sguardo da triglia assatanata.
A NY nella stanza d'albergo rossa, Keira si toglie le scarpe..ahi, mi sa che anche qua aleggia aria di tradimento. Nel frattempo mi giro verso il mio compagno per commentare la scena delle scarpe (volevo dire che erano belle, almeno quelle) e vedo che dorme. Svejaaaaa! Dunque dicevo? Ah si, lei si toglie le scarpe, si sdraia sul divano, si scopre le cosce, lui si avvicina, e dopo averle massaggiato i piedi le salta addosso, si baciano e lei dice "eh no, non posso, sono sposata". Dramma interiore profondo. Questo sì che è amore complicato. Male di vivere...Passano la notte abbracciati a letto, ma non copulano. E la mattina dopo si salutano (sempre con il labrador tra le palle), lui torna a Parigi.
Invece il marito-patata dopo aver fatto il difficile, quello che resiste alle tentazioni, "l'uomo sposato", finisce che si tromba Eva (la sottoveste bagnata è stato troppo...) e la mattina dopo con la faccia da funerale, fa le valige e torna dalla moglie. La trova in cucina in vestaglia che fuma una sigaretta e guarda dalla finestra la metropoli al mattino..che scena, che scena...quanta intensità.
Mentre l'ex parigino all'aeroporto guarda le foto dei primi piani di Keira sul pc (roba da crepacuore), il marito-patata in preda ai rimorsi abbraccia la moglie e butta un occhio sulle scarpe col tacco, evidentemente chiedendosi cosa mai ci faccia la moglie con quelle, stonano con le canotte bianche. Lei sembra dire qualcosa...ma il film finisce.

Viva Haneke.

mercoledì 14 novembre 2012

Flusso di coscienza number one



Non credo di essere all'altezza, ma solo perché ho mal di schiena. Che poi non ho capito perché, eppure ho fatto sempre le stesse cose tranne di notte, invece che dormire ho visto film. Se arrivo alle due di notte avrò dei capelli schifosissimi stopposi come mi capita sempre dopo un viaggio aereo che superi le due ore. Mi conviene legarli con una treccia, ma prima mi devo fare la doccia e chissà se avrò il tempo dato che torno a casa non prima delle cinque. L'ho fatta stamattina, la doccia intendo. Una volta dicevano che lavarsi troppo fa male, ma non una volta tanto tempo fa, quando ero bambina me l'ha detto la mia tata. Diceva che il sapone lava via il grasso della pelle che serve per protezione. Io ho una pelle poco protetta per questo si arrossa facilmente. Però se mi guardo allo specchio sono pallidissima, ho perso gli ultimi sprazzi di colore e dopo che mi sono messa l'immancabile cipria mi sento molto simile ad una pasta di mandorla. Meglio essere lucide o meglio essere farinose? Non lo so, io non ho la pelle grassa, neanche secca. Ho la pelle che rompe il cazzo, però. Ci sono alcune persone in quest'ultimo periodo che mi hanno tanto rotto il cazzo, io le ho ignorate. Non so se ho fatto bene, però è ora che cominci a preoccuparmi per pochi intimi e che non estenda il mio stato d'animo a tutti, che poi stigrandissimicazzi loro non credo che abbiano me a cuore così tanto. Il cuore ultimamente mi fa tanto male, ma non un dolore immaginario, un dolore vero, una fitta vera, come quella che si ha quando si fa una corsa spingendo il fisico al massimo. Io lo so perché mi fa male, ma ho un po' di pudore ad ammetterlo, soprattutto a me stessa. Ci sono momenti nei quali mi rilasso e allora il dolore sparisce, ma sono veramente pochi rispetto alle 24 ore di una giornata. Stanotte per esempio mi sono svegliata perché forse batteva troppo forte tum tum tum, cavolo un tamburo yanesha. Avrei voglia anche di mettere nell'ipod un po' di musica africana, mi va di ascoltare qualcosa di tribale, di basico, senza tanti orpelli, senza strumenti a corda, solo percussioni e voci, solo ritmo e corde vocali. Non credo di fare in tempo neanche per quello, ho i minuti contati anche per fare la valigia. Perché non l'ho fatta ieri? Sono quella degli ultimi istanti, sono quella degli istanti, sempre di fretta, volti, parole, strette di mano, sesso, cibo, tutto sempre di fretta perché la vita mi stringe in una morsa, gli impegni, i ruoli, le distanze mi portano via tempo. Il tempo sta portando via tante cose, tra l'altro io non faccio mai una cosa per volta, ne faccio di più, sempre di più. Lavoro e parlo al telefono, bevo un caffè e mando una email, vado a fare la spesa e mi fermo a salutare un'amica, penso ad una cosa e parlo di altro. Parlo troppo? Non è vero, parlo per vincere la timidezza ma una volta vinta sto molto in silenzio perché so che il silenzio fa sempre piacere, non troppo e poi dipende a chi. A me piace il silenzio, non mi imbarazza, mi riempie, mi appaga, mi mette nelle giuste condizioni. Adesso ne avrei tanto bisogno, avrei bisogno di trovarmi già a destinazione, invece devo affrontare un viaggio.

lunedì 12 novembre 2012

Tanti baci e abbracci da Roma



Quando ero bambina mi incantavo a guardare le cartoline con i glitteroni sberluccinati e i panorami dai colori improbabili. Di solito si trovavano sul Lago di Garda o sulla costiera Ligure.
Adesso basta andare al cinema e vedere un film di Woody Allen, non importa spingersi sino ai luoghi di villeggiatura più blasonati.
Se la cartolina di Barcellona e ancor di più la cartolina di Parigi, portano scritta sul retro una storia che ammalia; quella di Roma dietro ha scritto tanti baci da tutti noi !! con i cuoricini al posto dei puntini sulle i e una serie di firme: Scamarcio, Muti, Benigni, Cruz, Page, Ferrari, Ghini, Albanese, Sastri, Marcorè, ecc ecc.
Una cartolina che racconta una cosa sola: noi siamo stati a Roma, siamo famosi e porca di quella pupazza quanto è difficile essere famosi! Però siamo lo stesso contenti. Questo è il tema profondissimo dell'ultimo film di Woody Allen. Si, proprio di Woody Allen: quello di Zelig, lo stesso. Lo stesso di Io ed Annie, per altro. Lo stesso di Crimini e Misfatti. Se in Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, il film era semplicemente brutto, qui si va oltre la soglia della bruttezza e si rasenta l'assurdo, il surreale, il pedestre.
Roma vista in questo film, non esiste. Sembra fotografata con Instagram, non c'è neanche un lavoro in corso (impossibile). Tre o quattro storie parallele scritte da un Allen vanzinizzato, si snodano lungo tutto il film.  Noiose sino all'inverosimile (devo anche essermi assopita ad un certo punto), ma quel che più mi ha colpito è il mix tra usi e costumi di un'Italia degli anni '50 - la famiglia a tavola, lui che legge il giornale, la donna che serve tutti con i capelli raccolti e il grembiule; la coppietta con la valigia a mano che scende da un trenaccio locale; l'aria da magrebini disoccupati di tutte le comparse che camminano lente con le mani in tasca..-  e quelli dei turisti americani a Roma, i quali un po' se la tirano e sbevazzano Martini seduti ai tavoli all'aperto di una città un po' troppo silenziosa e mandolinizzata.
Suggerirei, inoltre, ad Allen, ti lasciar perdere i suoceri. E' dai tempi di Indovina chi viene a cena? che voi commedie americane ce la menate con sta storia dei suoceri. L'abbiamo capito che il tema vi diverte, che lo trovate stuzzicante, ma a noi europei non dice più niente, non ce ne frega neanche se i suoceri sono americani, pensa un po' Woody! Ormai noi italiani ce la tiriamo un po' di più rispetto alla fine della seconda guerra, quando voi ci tiravate le stecche di cioccolato fondente e le calze di nylon dai carri armati. Siamo un tantino più smaliziati, ma solo leggermente eh? Noi vi vediamo volendo anche come dei cafoncelli ignoranti senza nessuna predisposizione nei confronti dello stile e dell'eleganza, anche intellettuale. Non ci affacciamo più in canottiera bianca dalle finestre per cantare o sole mio o volare, non cantiamo neanche sotto la doccia come dei tenori: non c'è nessun "piccolo tenore inconsapevole" che attende di essere scoperto dall'americano intellettuale di turno.
Fino a che il film lo critica una come me, che il cinema lo vede e basta, e che paga per vederlo, va anche bene, è giusto ed in fondo, stigrancazzi. Ma quando uno tipo Roberto Benigni che una volta mandava in culo anche il Signore Dio nostro, si abbassa a fare la comparsa in un ruolo da marionetta scema solo perché il film lo dirige Woody Allen, allora una come me comincia a farsi le domande, e purtroppo la risposta non è delle migliori.
Dire di no a Woody Allen non dev'essere facile, posso anche crederci. Ma dire di si ad un film del genere significa dimenticarsi del valore del cinema, significa essere intellettualmente disonesti, oltre che italiani repressi. Inutile sperticarsi in lodi sull'Inno di Mameli una sera a San Remo quando poi vai a fare la figura del menga in un filmaccio che non ha capito cosa sia l'Italia e che la deride dall'alto della propria grandissima mente intellettuale.

Pizza, spaghetti, mandolino, bambini che giocano a pallone per la strada e Roberto Benigni.

Monicelli, pensaci tu.

martedì 6 novembre 2012

E il suicidio delle presine (impressioni)

Bello prendersi un'oretta dal lavoro per andare a comprare le presine. Le uniche sopravvissute al mio sfaccendare in cucina si sono suicidate ieri. Le ho trovate entrambe infiammate sopra un fornello rimasto inavvertitamente acceso. Voglio pensare che si amavano tanto e che hanno deciso all'unisono che preferivano morire che fare una vita di merda. Perché quella della presina è una vita difficile, ammettiamolo. Le presine carbonizzate erano carine, ma non troppo. Erano blu, con dei disegni di fattorie, mucche, meli e forse c'era anche una gallina, ma non ho molta memoria fotografica.

Le presine nuove che ho appena comprato sono completamente diverse dalle vecchie. Non hanno nessun connotato country, sono in stile shabby chic e le ho comprate in un negozietto adorabile che si chiama Maison di Bì (le due foto che ho scattato). Sono di un tenue verde acqua con sopra dei fiorellini tenerelli bianchi. Sono made in India, ed io tutte le volte che leggo le etichette penso ai paesi nei quali l'oggetto è stato fabbricato. Penso ad esempio ad una grande fabbrica indiana dove le operaie cuciono presine che finiscono in un negozietto profumoso e gattoso vicino Firenze. Pieno di candele profumate, bamboline e servizi da tè con le paperelle.
Per arrivare al negozietto che ho raggiunto a piedi, sono passata da un mercatino. Quello che mi diverte dei mercati in Italia è il linguaggio usato dai venditori ambulanti. A Firenze, a differenza di altre città, nessun venditore strilla. Ognuno si fa amorevolmente i cazzi suoi, però i dialoghi con le "brave massaie" che sono là a fare la spesa mi ha sempre molto interessato.
Mi fermo davanti al banco dei fiori, e mentre medito se comprare i ciclamini da mettere in bagno, si avvicina una signora, una "brava massaia". Si china verso i vasi di crisantemi e chiede al "venditore ambulante":
b.m - Senta lei, quanto li fa questi? -
v.a. - Cinque euro, un bel vaso grande vero? -
b.m. - E va beh, tanto ormai... - (io rido, il venditore ambulante prontamente risponde)
v.a. - Tanto ormai..cosa?? Son sempre fiori! - (io continuo a ridere)
b.m. - Ma i morti so' finiti -
v.a.  - E su questo 'un ce piove! Ma signora, lei che li ha levati dal cimitero i suoi? -
b.m. - Io?? Oh che la mi dice?! Certo che no! Suvvia me li dia, questi guardi..ma non è che sono sciupati? -
v.a. - E tanto i morti so' finiti, non se ne accorgono neanche se so' sciupati!


Dalla finestra vicino alla scrivania del mio ufficio vedo questo. Amo il giallo.