lunedì 11 dicembre 2017
Tutta la mia verità sul viaggio
Caro vecchio blog,
ho scelto di scrivere a mano, con una penna ed una calligrafia che sto tornando a perfezionare, le mie impressioni su un quaderno vero, con le pagine di carta ed i disegni, gli schizzi di ciò che osservo. Quindi, caro vecchio blog, ti sto trascurando.
Qualche giorno fa, una persona sul treno che da Strasburgo va a Parigi, mi ha parlato di quanto sia noioso viaggiare. Io l'ho ascoltata con il solito distacco e la noia di chi, certi discorsi, li ha sentiti tante volte dentro di sé. Le ho dato ragione: viaggiare è noioso. Il mito, l'idea, quasi indiscutibile, che viaggiare sia bellissimo, è uno dei più grandi inganni che l'umanità abbia mai tirato fuori dal cilindro. Forse lo era, bellissimo, quando il viaggio rappresentava una conquista a lungo anelata. Quando il viaggio era un'odissea piena zeppa di prove fisiche e spirituali. Quando l'ignoto di mondi immaginati, o narrati attraverso il passaparola e l'epica, spingeva la curiosità dell'uomo e la dotava di forza propulsiva esponenziale. Il viaggio, sì, rappresentava il sogno, il mito, la scoperta: la sfida. Cos'è oggi? Oggi è una serie di pratiche omologate, un rito sempre uguale a se stesso; un fast food di spostamenti a catena in cui l'unica sensazione che si avverte è quella di far parte di una massa informe, globosa, che scivola da un posto all'altro. Cancellata ogni forma di romanticismo, di mistero o suspence, il viaggio è una gran rottura di palle. Guai a dirlo a chi ne fa un vanto mostrando il passaporto pieno zeppo di timbri. Guai a spiegarlo a chi si sente un povero sfigato se almeno una volta al mese non prende un aereo.
Cari amici, gli sfigati siamo noi che viaggiamo.
Durante i miei spostamenti, penso a tutto tranne che al viaggio. Cerco di ottimizzare i tempi, con la consapevolezza che tutte le ore perse per spostarmi, rappresentano tempo sottratto alla musica, all'amore, ala cultura, al gioco; alla vita. Ore, su ore, su ore; giorni, mesi. Occhiaie che avanzano, luoghi sudici, contaminati da chissà chi, con il quale chi non condivideresti neanche una chiacchierata, figuriamoci lo schienale di un sedile, dove hanno transitato i suoi capelli sporchi, unti, pieni di forfora. Treni, cara vecchia Europa, velocissimi, ma lerci. Frequentati, anche, da soggetti loschi, che si aggirano nelle stazioni di notte col solo scopo di essere dannosi per gli altri. Aeroporti dove ti trattano come bestiame, ti scandagliano come un pezzo di fabbrica: ti scrutano, ti fanno togliere le scarpe, riti da campi di sterminio, se mi è permessa la surreale iperbole. Ritardi, ritardi ovunque. Il mito, tutto italiano, che nei paesi del centro d'Europa i treni siano sempre puntali. La fesseria, ancora una volta. E l'Inghilterra, aaah, l'Inghilterra, ancora ferma ai tempi della rivoluzione industriale, grazie alla cultura chiusa da conservazione (come la definisco io).
Insomma, viaggiare non è romantico, non è bellissimo. È semplicemente brutto e noioso. La consapevolezza, quella luce abbacinante che illumina tutte le cose e te le mostra per ciò che sono, e non per ciò che credi che siano. L'immaginazione ed il mito, illuminati, diventano ordinaria banalità. Non c'è niente sotto, niente dentro, niente tra le righe. Come le discoteche di giorno. È tutto, quindi, così come lo vedi: un carrozzone di merci e persone. Lo scopo, solo quello, il tuo. Ritornare a casa, tra parole che sono lo scopo. Entrare nel proprio luogo, costruito, pensato, per viverci. Sto amando più che mai casa, la mia città, Strasburgo, piccola e gioiosa, vivibile, cordiale. Detesto le metropoli, agglomerati di solitudini, nelle quali perdere prima di tutto se stessi. Le attraverso velocemente, per lavoro, il più delle volte. Lo scopo: il lavoro. Che è anche una passione, una realizzazione personale, una conquista, la strada trovata e a lungo anelata. Il vero viaggio, quello che ho intrapreso per capire cosa voglio, chi sono. L'unico significativo, esclusivo, igienico e puntuale. Capita a tutti. Non esistono documenti, biglietti o applicazioni. Il viaggio con se stessi, dentro la profondità di ciò che siamo, per arrivare a destinazione. Incontreremo, lungo la strada, tanti personaggi, anche individui loschi, poco rassicuranti, ai quali daremo, per sbaglio, fiducia. Impareremo che i nostri sentimenti, per quanto puri ed unici, possono essere anche calpestati, ignorati, strumentalizzati. Per questo dobbiamo averne cura. Capiremo, quindi, ed impareremo, quindi. Anime notturne, care amiche, nel buio della nostra inquietudine, abbiamo dialogato a lungo. Ci siamo spostate da un luogo all'altro, ritrovate e poi perdute, per poi ritrovarci ancora una volta. Fantasmi della notte, ululati alla luna, creature mitologiche. Lo studio, approfondito, delle nostre passioni. La lettura forsennata, i libri lasciati ovunque; i capolavori custoditi ed i mediocri, dimenticati freudianamente sui sedili del treno o nelle stanze degli alberghi. Leggo per capire chi sono, ascolto musica, ne studio il componimento: l'armonia, una delle ragioni di vita. L'amore e la passione che mi spingono e, come Adorno mi ha insegnato, cerco sempre il simile nel dissimile.
Cara casa, quindi, sono io. Ed alla fine di quest'anno, tribolato, mi sono finalmente fermata. Il viaggio, quello vero, non è ancora terminato, lo so, sono pronta a rifare i bagagli e a salire, ancora una volta, in carrozza.
Ma per il momento, un lungo, lunghissimo momento, rimango a casa, Amore Mio.
"Il sentimento di aver messo la sua vita tra parentesi, d’averla appesa a un filo a sgocciolare, non gli era poi così sgradito. Non voleva far altro che acquattarsi sul fondo, questo viaggio era solo un pretesto per fuggire, un modo per rendersi conto che non aveva legami da nessuna parte. Gli uomini di questo posto erano stati risucchiati in un buco nero. Ne approfittavano per fare pulizia, uccidere gli antichi demoni, cacciare i fantasmi dal loro piedistallo e chiudere le ferite aperte. Ma lui? Non aveva nulla di particolare da dimenticare, non aveva niente di suo, a parte un nome e un cognome"
Sono il Guardiano Del Faro - Éic Faye
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