giovedì 15 maggio 2014
Mi perdo cose
- Pronto, parlo con la signora N.L?
- Sì, chi parla?
- Qui è il commissariato di Polizia di Firenze. La volevo informare che sono stati ritrovati i suoi documenti e il portafoglio. Ci sono stati inviati dal Consolato a Londra.
- Wow... beh non importa, nel frattempo ho rifatto tutto essendo passati due mesi.
- Lei deve venire comunque a ritirare i vecchi documenti.
- Va bene.
- I passaporti li potrà ritirare da domani in questura, la patente in prefettura e le carte di credito al comando dei vigili.
- È uno scherzo, dai...mi avete smazzato tutto come nel burraco?
- Eh mi spiace ma è così.
Prima tappa: Prefettura.
- Scusi, l'ufficio patenti?
Un signore in giacca blu, chiuso dentro una sorta di serra con gli infissi in alluminio dorato, mi parla (mentre tiene la cornetta del telefono sotto al mento) attraverso una fessura talmente bassa che si deve ingobbire per rispondermi.
- Stanza numero 38 terzo piano, segue il corridoio la penultima porta a destra, oppure anche la terzultima porta a sinistra girato l'angolo, in fondo, dopo le scale.
- Mi sono già persa, va beh, ci provo. Se non mi vede tornare chiami i vigili del fuoco, che sono gli unici dai quali non devo andare, stamattina.
Mi guarda con circospezione e poi:
- Nandoooooo! (rivolgendosi al tizio appoggiato al vetro)
- Oooooh (risponde Nando annoiato)
- E s'è sbaglia'o mestiere io e te, i pompieri si doveva fare
- E che 'un lo so?
In ascensore un tipo molto abbronzato e eccessivamente dopobarbato:
- Dove va lei?
- Terzo piano, stanza numero 38 a fare la caccia al tesoro.
- Ah vado anche io al terzo, pensi un po'!
- Bene, allora premiamo il pulsante insieme!
Al terzo piano percorro corridoi quasi bui pieni di porte che socchiudono chiacchiericci, risatine soffocate e per miracoloso istinto riesco a trovare la stanza indicatomi. La porta è aperta, busso lo stesso. Due sepolti vivi dalle scartoffie fanno capolino da quelli che sembrano essere dei Commodore 64.
- Permesso?
- Sgruntbbof.....bofbof...gnesgrut.... siii siii, avaaaanti...
- Buongiorno, dovrei ritirare le mie patenti di guida.
- Ah ah. Quante ne ha?
- Ce ne dovrebbero essere due, una europea e una norvegese.
Il volto di uno dei due si riempie di punti interrogativi, le sopracciglia si aggrottano; poi l'attaccatura dei capelli si allenta, ha un'illuminazione e apre un cassetto dietro la scrivania, razzola per dieci minuti buoni tra le scartoffie.
- ..hem, si sieda si sieda, intanto...
- Sarà una cosa lunga? Dovrei rientrare a lavoro
- Bah...io qui non trovo..come ha detto che si chiama?
- Leblanc
- Ma tutto attaccato?
- Sì
- Leblòn come me l'ha detto lei?
- No, si scrive Leblanc..scusi: Livorno, Empoli, Bari, Livorno, Ancona, Napoli, Catanzaro
- Aaah, Lèblànc!
- Sì.
- ...non trovo niente: motivo del ritiro?
- Non me l'hanno ritirata, l'ho persa a Londra e la polizia mi ha detto che...
- Aaaah ma se l'ha persa allora deve andare in questura! Cosa ci fa qui?
- Mi andava di visitare la stanza 38.
- Guardi, lei deve andare in via della Fortezza o in Via D'Aosta, in questura.
- Ma ne è sicuro?
- Qui non c'è, dev'essere ferma in questura. Vada, prima che chiudano gli sportelli al pubblico!
- Telefoniamo, prima?
- No, sono sicurissimo, vada!
Ripercorro i corridoi bui e angusti, prendo l'ascensore, esco fuori dalla Prefettura e telefono in Questura.
- Scusi, un'informazione (racconto l'accaduto)
- Signora lei deve andare in Prefettura, la patente si trova sicuramente là.
Rientro in Prefettura, nel frattempo il tipo abbronzato e dopobarbato mi incrocia all'apertura dell'ascensore e mi saluta chiedendomi 'caffeino?'.
Stanza 38, ri-busso, ri- chiedo permesso.
- Sono quella di prima...
- E lo vedo (non alza gli occhi dalle scartoffie)
- Ho telefonato al.. (non mi fa finire la frase)
- Senta facciamo una cosa: lei vada a fare le sue cose, intanto io cerco LE sue patenti (sorrisetto sardonico) e ci vediamo qui, facciamo fra...tre quarti d'ora?
- Quali cose?
- Che ne so, la spesa, le commissioni...le sue cose!
- La mia commissione era venire qui per riprendermi una patente (o due) la cui utilità è pari a zero dal momento che le ho riavute entrambe nel giro di pochi giorni dopo che le ho perse. Sono qua perché la Polizia me l'ha gentilmente ordinato, altrimenti sarei a lavorare o a fare altro che non la riguarda, comprese le mie cose. Quindi aspetto qui, piantata qui, non mi muovo.
Il mio piglio da acidona suscita l'effetto voluto. Il tipo si sistema gli occhiali sul naso, si accomoda dritto sulla sedia dietro la scrivania e comincia a digitare fiumi di parole sul pc. Ogni tanto clicca con veemenza sul tasto invio, forse nella speranza che esca fuori dal monitor la soluzione, come nei giochini escape. Si piega e riapre il cassetto delle scartoffie; fruga di nuovo, scartabella, fa vibrare uno cartellina carica di fogli e fogliettini, con nomi, denunce, indirizzi...
- Come ha detto che si chiama?
Ripeto il mio cognome, spazientita e sospirante come fossi in menopausa. Lo pronuncio all'italiana, non voglio rifare lo spelling, lo costringo all'uso dell'attenzione.
Si alza dicendo che va un attimo a controllare. Sta via più di dieci minuti. Io nel frattempo lo immagino nella stanza delle carte, affogato da mille pratiche burocratiche, da centinaia di permessi di guida ritirati (o ritrovati). Oppure alla macchinetta del caffè, mentre maledice la rompicoglioni di origine francese: ci mancava solo questa gallica nevrastenica, come se non avessi già abbastanza cose da fare!
Torna con in mano una cartella giallognola sgualcita. Non dice una parola, si risiede e si sistema gli occhiali. Nel frattempo io riesco a leggere l'etichetta col mio nome sull'incartamento: ha risolto l'escape che mi permetterà di uscire.
- Dunque, Signora Leblòòònk...
- Sì?
- Mi metta una firma qua..una qua..una in fondo a questa pagina...una di qua..un'altra dietro, grazie.
E segna con ben due crocette ogni spazio dove c'è scritto firma.
- Gentilmente mi dia un documento...grazie, vado a fare una fotocopia.
Esce di nuovo e sparisce per altri 10 minuti. Chiedo al collega:
- Ma dove la tenete la fotocopiatrice?
- No no, è qui dietro, forse era occupata...
- Ammazza
- Sa, a quest'ora c'è sempre un gran casino
Guardo l'orologio, sono le 11 e 15. L'ora di punta in Prefettura, non ci andate.
Si affaccia un ragazzo rasta con un casco sotto al braccio, prova a dire qualcosa ma il tipo lo blocca subito
- No scusa, per i patentini stanza numero...
- Ma io sarei qui per la patente della macchina
- Ah! Ti avevo visto con il casco
- Appunto, sono venuto in scooter perché non ho la patente per guidare
Rido. Non ne posso fare a meno. Il ragazzo rasta mi fa l'occhiolino e poi dice:
- Fosse stato un test attitudinale col ca..volo che lo passavi, fratello!
Mi sento in un film di Fellini. Mi giro verso la finestra e guardo fuori, trattenendomi per non ridere.
Torna il mio uomo con le fotocopie dei documenti.
Si risiede, prende dei timbri che sbatte violentemente sui fogli sgualciti, mette delle firme poi tra sé dice:
- Oggi c'è un caldo boia
- Si sta bene..
Dico io, tentando di fare pace con lui, mentre mi riprendo le mie patenti che non servono più a niente.
Si sta bene, peccato che ora mi aspettino la Questura e i vigili.
Sabato mattina, Strasburgo. Devo rifare la Tessera Europea per l'assicurazione sanitaria mia e dei bambini.
Vado all'ufficio amministrativo nel mio arrondissement, ogni circoscrizione cittadina ha il suo. In una città di un milione di abitanti, come Strasburgo, ce ne sono 10, la metà di Parigi. Entro nell'atrio, il pavimento in parquet è tirato a lucido e sulla destra svettano due bandiere, quella francese e quella europea.
La prima cosa che vedo: un pannello luminoso con tutte le indicazioni, io devo andare all'ufficio sanitario, piano terra.
Non ci sono porte, entro senza chiedere niente. L'impiegata si alza dalla scrivania per salutarmi, mi fa sedere, mi chiede i documenti. Osservo il vaso di fiori freschi, la solite bandiere alle spalle, una boule de neige con dentro la Cattedrale. Dopo cinque minuti mi consegna le tessere. Elargisce sorrisi, mi augura buona giornata con la solita cantilena francese. Nonostante Strasburgo sia una città 'di confine', la Marsigliese l'hanno inventata qui e sono (siamo) tanto francesi.
Esco fuori dall'edificio dai tetti spioventi, controllo la perfezione della facciate, i fiori alle ringhiere, la pulizia delle bandiere che svettano anche fuori.
Mi sono divertita più a Firenze, però.
Strasburgo è una 'ville libre' nella quale convivono pacificamente, da un millennio, tre religioni diverse e più culture. Non è un caso della mia vita, che sia Firenze che Strasburgo, abbiano dimostrato nel corso della storia la totale apertura e integrazione della cultura ebraica. È una città che ha vissuto la sofferenza durante i conflitti mondiali a causa della sua posizione geografica, ed essendo molte famiglie sia tedesche che francesi, i figli hanno visto madri e padri separati solo perché appartenenti a due nazioni diverse. I fratelli ebrei sono stati bruciati e sterminati; vicino sorge il campo di concentramento di Natzweiler-Struthof, nel quale trovarono la morte anche molti politici vittime del razzismo ideologico. Oltre a molti parenti, amici, conoscenti che hanno lottato per la resistenza.
Strasburgo è un luogo dove la storia dell'Università e della cultura affonda radici profonde, almeno quanto quelle di Firenze. Anche qui si avverte la crisi, i clochard portano nei loro sguardi tutto il male di vivere della nostra umanità e quel signore dagli occhi vitrei che m'ha fermato l'altro giorno alitandomi alcolicamente che sono méchante, cattiva, colpevole, aveva ragione. Però la dignità del cittadino, l'orgoglio, il senso di appartenenza traspare, trasuda energia da ogni luogo che rappresenta lo Stato; per dire a gran voce che c'è se hai bisogno, per te che sei europeo, non solo francese, strasburghese, alsaziano.
L'hanno imparato a loro spese che cosa vuol dire guadagnarsi e riconquistare la 'ville libre'; attraverso la morte, la sofferenza, la distruzione delle identità nazionali di intere famiglie,
Credo che all'Italia manchi la conquista (o la riconquista) della libertà che, come diceva Camus, non è altro che la possibilità di essere migliori.
Je pense et j’écris en français, mais je pleure en kabyle. - Jean Elmouhouv Amrouche
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