martedì 8 luglio 2014

Feel at home



Le scale che portano al piano superiore scricchiolano come il il parquet degli appartamenti nella Strasburgo vecchia.
E' molto tardi, credo le tre di notte; ho lasciato il mio orologio in Francia, ho trovato il mio dolore in Inghilterra.
L'orologio sul camino è fermo da anni, è antico, dorato con la base in mogano. Per caricarlo c'è una grossa chiave da inserire nel foro dietro. Ma è tutto inutile, le lancette non si muovono. Anche i martelletti che ogni ora dovrebbero suonare una melodia diversa rimangono quasi immobili; vibrano lievemente come se provassero a cantare di nuovo ed un peso inesplicabile li bloccasse. Sollevo la campana di vetro, provo a muoverli, ad aiutarli, ma non serve. Nessuno si è mai preso la briga di portarlo da un orologiaio. Ha il fascino del tempo che si arresta.
Saranno le tre e mezza di notte, forse. Il mio telefono è scarico, ho voglia di scrivere, non ho il computer. Non ho l'ordinateur. Entro nello studio, provo ad accendere quello di mio suocero. Ci sono le prese staccate, l'ultimo ad usarlo è stato lui nel 2011, qualche giorno prima di salutarci per sempre. L'ordinateur è stato spolverato tutti i giorni, si vede. Nessuno ha mai provato a riaccenderlo. Nessuno ha controllato le ultime email, le foto, gli scritti, le note o i fogli Excel. Nessuno ha avuto il coraggio di riaccendere una parte di vita, anche se digitale. Non sarò io a mancare il rispetto, il riserbo. Quindi cerco dei fogli di carta, un blocco, una penna, una matita, qualcosa per scrivere.
Sono sicura di trovare quello che cerco dentro ai cassetti, ma non posso aprirli. Non mi appartengono. Io so che il proprietario della scrivania avrebbe voluto che li aprissi, anzi, mi avrebbe detto "feel at home". Mi sentivo a casa con lui.
Mi sento a casa tutte le volte che trovo l'empatia con qualcuno. La mia dimora sono le persone. Forse lo sono sempre state. Quando ne perdo qualcuna mi sento veramente una nomade o un clochard che prova a sopravvivere raggomitolandosi in angoli freddi e bui.
Sopra una pila di volumi di diritto vedo dei fogli dentro ad un inserto azzurro trasparente. Sembrano bianchi. Ne sfilo uno: ho trovato il mio tesoro, stanotte. Un gioiello, un foglio bianco. Profuma di pipa, ha l'odore del proprietario.
Ti riempirò di vita, sarò il tuo orologiaio.

Benjamin, we're meant to lose the people we love. How else would we know how important they are to us?

Some people, were born to sit by a river. Some get struck by lightning. Some have an ear for music. Some are artists. Some swim. Some know buttons. Some know Shakespeare. Some are mothers.

And some people, dance.

The curious case of  Benjamin Botton, David Fincher

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