Capita di scorrere le pagine del web a fine giornata, sullo smartphone, con la stessa noia e pigrizia di sempre. Un'azione meccanica compiuta in momenti di attesa, dove parole, immagini, fatti ed opinioni si mescolano e mi si presentano davanti senza che io, in fondo, li veda sul serio. La navigazione nel mare delle informazioni, sparse, disparate, spesso inutili. Notizie che trascinano verso altre notizie, e verso altre ancora, che forse mi porteranno ad acquistare un libro o ad entrare dentro un social network, con la totale apatia e indifferenza nell'assistere allo spettacolo globale della goliardia a tutti i costi.
Questo è il mio modo di vivere la navigazione. Imbarcarsi su di un peschereccio che tornerà in porto con le reti vuote, pronto per ripartire la volta successiva, nella speranza di pescare qualche pesce da vendere al mercato delle opinioni.
Mi burlo delle 'lucidi analisi', sbuffo nei confronti di chi vuole insegnarmi la morale, di chi si sente più sensibile della media verso i problemi del mondo. Sono allergica agli epitaffi, alle parole di solidarietà, alle auto promozioni, alle chat pubbliche tra amici che si capiscono solo tra loro. Mi snervano le gare di bravura, gli esercizi di stile, gli arabeschi che descrivono concetti banali, triti, noiosi, vuoti, ipocriti. Non nutro interesse nei confronti di chi promuove iniziative, o di chi sponsorizza terze persone degne di nota. Non credo mai a chi dice è una bella penna/persona, né a chi scrive poesie sotto alle fotografie. Non credo a chi condivide la felicità.
In questo mare a me ostile, dentro al quale sono più le volte nelle quali mi creo aspettative fallaci rispetto a quelle in cui trovo conferme, mi soffermo, più del dovuto, su un'immagine. Una fotografia, quella di Jim Carrey.
Jim è un attore diverso dagli altri. Sia per talento che per canale espressivo. Jim Carrey è, quello che io definisco, un attore speciale. Ha uno sguardo da folle artista di strada, di quelli che ti fermano nel parco di una metropoli e ti salutano levandosi il cappello. Sguardi spesso incontrati per caso, un giorno nel quale cammini di fretta stringendoti nel cappotto. Sguardi incrociati per pochi istanti e mai più dimenticati. Jim ha esattamente l'aspetto che ti aspetti abbia un uomo canadese, quella mescolanza di tratti somatici che partono dalla Francia ed arrivano fino alla Scozia. Un dna ben delineato dalla fisionomia, dall'altezza, dalla mascella e dal sorriso che si stampa e si squarcia sul volto declinandosi in infinite sfumature. Un sorriso maligno, da burla, da bugiardo, mai completamente autentico, mai totalmente fine a se stesso.
Jim Carrey nasce attore. Non lo diventa, lo è sempre stato. Non avrebbe potuto fare altro, non sarebbe potuto diventare altro. Nonostante nasca come attore comico, riesce a dare vita a personaggi drammatici uscendo completamente da qualsiasi schema auto imposto. Carrey non interpreta il dramma, lui è il dramma. Il dramma esistenziale, quello che non ha via di uscita né soluzioni.
È entrato sotto la mia pelle.
Mi soffermo sulla foto che mi appare sullo smartphone, insieme ad altre notizie, più o meno importanti. La foto di Jim che sorregge una bara. Leggo la notizia, senza mai soffermarmi sui contorni, ma sull'essenza, il fulcro, l'esigenza di conoscere le ragioni del dolore, non spinta da chissà quale morbosa curiosità, ma da sincero interesse. Partecipazione, rarissima in me, saltuaria come l'aurora. Non sapevo che la fidanzata di Carrey si fosse tolta la vita, non si parla mai sul web di lui. D'altronde non possiede né ha mai posseduto una villa sul lago di Como, non si è mai fidanzato con una velina, non fa pubblicità a caffè globali in ottomila capsule di colore diverso ma contenenti tutte l'illusione del vero espresso. Non vende né fabbrica illusioni. Lui è l'illusione. Lui è il dramma. Lui è l'attore.
Passo velocemente sopra parole sparse a caso, buttate là con fare da giornalista lestofante qualsiasi. Accozzate tra loro in modo pedestre, senza alcuna grazia né coerenza, al solo scopo di sbarcare il lunario. L'essenza mi rimanda ad un profilo Instagram, quello di Cathriona, un nome bellissimo, una donna struggente. Sfoglio il profilo come facevo da bambina quando mi facevano vedere gli album di famiglia. Li aprivo piano, con delicatezza, temendo che le foto si scollassero dai loro supporti adesivi. Poi avvicinavo il viso verso le foto che mi interessavano di più, o per mettere a fuoco meglio i volti nelle foto di gruppo. Ogni fotografia una sensazione diversa, dal conforto al rammarico, dalla nostalgia alla curiosità. L'album di Cathriona parla solo dei suoi occhi. Un cerbiatto malinconico, esile e visibilmente fragile. Ritratto come farebbe qualsiasi ragazza che vive gli anni duemila, con i selfie allo specchio del bagno, le inquadrature dal basso o di tre quarti, la modifica verso il bianco e nero, nel suo ultimo scatto. Comprendo subito. Solo un uomo come Jim avrebbe potuto innamorarsi degli occhi malinconici. Perché la malinconia non si può solo osservare, né ci si può limitare ad amarla. La malinconia va assecondata. Va cullata. Le vanno raccontate la favole della buonanotte, e non importa se ci sono gli orchi ed i draghi. Perché la malinconia li sa gestire benissimo.
Cathriona non era fatta per questo mondo, così lascia scritto. Con assoluta coerenza, con l'estrema lucidità di chi decide che qui non ci vuole più stare.
Love cannot be lost recita il tweet dell'attore sul profilo ufficiale.
Perché chi è capace di assecondare e cullare la malinconia è anche ben consapevole che l'amore non si può cancellare.
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