domenica 8 maggio 2016

Dilige et quod vis fac.



"Cosa ti piace fare?" mi chiese con gli occhi abbassati su quello che a me sembrò un blocco di carta rosa. Recitare, cantare, andare a cavallo, risposi. Il blocco si aprì come una farfalla pronta a volare: era una copertina di lana. La dottoressa la alzò dalla scrivania, la girò tra le mani, la manipolò con gesti quasi ipnotici come per farne intuire la morbidezza. "Questa te la ricordi?". No, non me la ricordo, è mia?
Non mi ricordavo di quella copertina, non mi ricordo più niente di quella fase della mia infanzia in cui a cadenza quindicinale andavamo a trovare la dottoressa. La copertina di lana rosa è l'unico elemento che ricordo di quel periodo.

"Dimmi, cos'è che ti rilassa completamente?". Scrivere, leggere, ascoltare musica. Studiare. Baciare i miei bambini, annusare il profumo dei loro capelli, ridere con loro. Mia nonna, parlarle di me, uscire con lei, accompagnarla a trovare le sue amiche, a teatro, ai concerti, al cinema. Poi ci sarebbe il ricordo di una copertina rosa...
"La copertina di Linus" sorrise bonariamente.
No, non è la copertina di Linus, è il ricordo, l'unico che ho, di una detestabile fase della mia infanzia in cui i miei genitori si erano convinti avessi bisogno di una psicologa solo perché ero leggermente perfezionista con me stessa.
"Cosa intendi per leggermente?" Sorrido. Non leggermente, maniacalmente, dai, è vero. Però non mi guardare con gli occhi scrutatori, già ci sono quelli delle persone che tentano di affondarmi, che cercano punti deboli sui quali infilare piccole forchettine da antipasto e zac zac zac punzecchiarmi fino a farmi scappare.
"Perché ti rilassa un elemento come quello della copertina di lana se è legato al ricordo di un periodo delle tua infanzia non piacevole?" Questo me lo dovresti dire tu, cioè, ti pago per avere delle risposte, che diamine! Non lo so perché. Forse perché sono una maledetta autolesionista? Perché sono una squinternata che si rende conto solo adesso che mandarmi a dieci anni da una psicologa fu un gesto d'amore? E comunque non sono venuta qui per darmi le risposte da sola.
"Dove si trova, adesso, questa copertina?" Non lo so. Non l'ho più vista. Forse a casa dei miei a Ginevra, a casa di mia nonna a Strasburgo, o in qualche scatolone negli scantinati di qualche casa, chissà dove. Non mi interessa vederla, toccarla. Sta là, da qualche parte nel mio cervello, sonnecchia, ogni tanto si sveglia per dirmi Oh, guarda che ci sono io le rispondo, mimportauncazzo, e lei si ritira in buon ordine.

A Strasburgo il silenzio della domenica mattina pervaso dal sentore di pane e brioche, di caffè e fiori maggiolini, è rotto solo dal dolore che mi vela gli occhi. È un dolore rumoroso, molesto. "Sai, Nicole, la vita prosegue". Lo so. "Sai, Nicole, ha avuto una vita piena, felice, lunga" Lo so. Però chiudi la bocca, taci, ascolta il silenzio della domenica mattina, tu che ci riesci. Io non ce la faccio, ho la testa piena di frastuoni, martelli, incudini; io in mezzo, sdraiata, schiacciata come una sottiletta, oppressa. Non sono capace di accogliere tesi ragionevoli, non sono disposta a dare un senso, non ho bisogno di nessuno che mi aiuti a mettermi in pace con me stessa. La verità è che ho perso un'interlocutrice intelligente. La verità è che penso a me, e non a lei che non c'è più. Penso a me che sono rimasta senza un tesoro, povera e con le pezze al culo. Bene, mi sto autocommiserando.

Apro l'anta del pesante armadio in camera di mia nonna. Il profumo di lavanda, i suoi bellissimi vestiti appesi in maniera ordinata, perfettamente stirati, coperti di semplice classe, quella innata delle donne eleganti, che non si sono mai tinte i capelli e che anche quando l'argento li colora indicando chiaramente un'età che è fuori dal cerchio della giovinezza, loro preferiscono lasciarli così. Morbidi ed argentei, pettinati con una spazzola infinite volte per renderli più lucidi. Tenuti bene, con cura. Io non sarò mai capace di farlo. Mi tingerò i capelli non appena ne vedrò mezzo bianco. Sarò e sono una donna ordinaria, codarda, che sarà incapace di mostrare la vecchiaia con classe. E penso che sia un dono da meritare, invecchiare. Lo penso perché me l'hai insegnato tu, nonna. Quando mi dicesti che una vera donna fiorisce a quarant'anni, era il giorno del mio trentesimo compleanno.
Scorro con un dito i vestiti, cerco quello più adatto a te. Tu avresti ironizzato, ne sono sicura. Come quella volta che andammo a trovare la tua migliore amica appena morta e nel vederla infilata in un rigoroso completo blu notte, tu dicesti "Povera, non solo è morta, ma dovrà riposare nell'eternità vestita come il suo becchino".
Trovo il vestito. Deve essere lui, leggero, in seta, con un tenue motivo floreale, chiuso da un colletto alla coreana, con piccoli bottonicini trapuntati dello stesso tessuto. Mi ricordo come ti stava bene, e come cadeva morbido e vaporoso sulle tue ginocchia esaltando le gambe affusolate.
"Quando muoio fai tutto tu, Nicole, mi fido dei tuoi gusti perché ti ho insegnato tutto io. Avete sentito tutti?" Era Natale, eravamo a tavola. C'erano tutti. Sono partiti i cori del noooo, ma cosa dici, tu morire? dai, nonna, dai zia, dai mamma, ma cosa dici.
"Dico quello che direbbe qualsiasi mente lucida a 86 anni, ed aggiungo che in questo brodo c'è troppo sale".

Appoggio il vestito sul letto. Ritorno a guardare nell'armadio, nel ripiano superiore le borse, tutte chiuse nella loro scatola, ma l'ultima è diversa, stona con il resto e c'è attaccata un'etichetta con su scritto Nicole. Ne ho quasi paura. Che ci fa una scatola col mio nome, qui? Questo è l'armadio di uso quotidiano, non è quello in cui lei tiene i ricordi o i vestiti che non mette più. Mi siedo sul letto con il fiato corto, capisco subito. Mi tremano i polsi, ho i brividi, mi chiudo il viso tra le mani, non ho molto tempo, non posso permettermi di rigirarmi nel mio stesso sudore freddo.
Trovo il coraggio di prendere la scatola. È di latta, una bellissima scatola di biscotti della pasticceria sotto casa. Quando la apro l'aroma di vaniglia e di fornaio si sente ancora. C'è una busta, e sotto, lei. La copertina rosa. Non la vedevo da quel giorno di 25 anni fa dalla psicologa. La prendo tra le mani, è morbida così come l'ho sempre immaginata. Fa male vederla, fa malissimo sentirla, è come incontrare una persona che pensavamo non contasse più niente, e invece, eccola. Ancora conta, ancora brucia, ancora porta con sé domande, crucci, ricordi, idee e pensieri. Apro la busta con delicatezza: quattro pagine di una lettera scritta a mano, datata 25 Dicembre 2015, il giorno del brodo troppo salato. La divoro con gli occhi carichi di lacrime, la leggo appannata, è la cosa più bella mi sia successa in tutti questi anni. Un tumulto di emozioni, di alti e di bassi, un canone musicale: una rinascita, non solo mia, nonna. Nostra. Siamo rinate, ancora.

La copertina rosa, non è mai stata mia. Era un escamotage della psicologa per farmi parlare, dire cose. Mia nonna sapeva quanto mi avesse colpito, prese un treno e andò dalla dottoressa per farsela dare.
Esistono persone che ci vogliono bene, oltre il limite dell'immaginazione.



Ama e fa ciò che vuoi.
Sant'Agostino



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