giovedì 23 febbraio 2017

La la land, non è una recensione ma un diario di una appassionata qualsiasi che si giustifica del fatto che non riesce più a scrivere per il titolo ho chiesto consulenza alla Wertmüller



Nella vita di ognuno di noi capitano periodi nei quali quello che ci piace fare deve essere messo da parte.

Amemipiace scrivere.

È inconfutabilmente vero che non mi piace solo scrivere, ma che esistono tantissime altre fantastiche e mirabolanti attività che mi piace svolgere, tipo fare la pasta degli choux per poi lamentarmi della cottura e uscire sotto casa a mangiare un éclair cotto come nostro Signore della pasticceria comanda.
Molti che sono diventati da poco (e per poco intendo quel periodo che si aggira intorno ai tre/quattro anni) genitori, penseranno di essere nel periodo peggiore, quello che assorbe più tempo possibile. E invece no, sappiate che il peggio deve ancora arrivare. Perché se credete che pannolini sporchi, pappe e nottate in bianco annientino al massimo la vostra vita sociale e ricreativa, è perché ancora non vi siete immersi nelle attività scolastiche, parascolastiche, sportive, parasportive e nella scelta della scarpe che devono essere quelle e non altre, quelle che non si trovano mai, proprio loro.
Quindi, tra lavoro, bambini gravati da innumerevoli impegni che richiedono la vostra presenza o quella di Uber (le famose ubermamme), attività solo vostre, tipo cenare con alimenti che non provengano da un sottovuoto o da un cartone cinese, lavarsi, tagliasi le unghie, vestirsi con indumenti non dico stirati, ma almeno non abbandonati per terra la sera prima a causa di un collasso cardiomentale; il tempo per prendere la tastiera e scrivere è veramente quasi inesistente.
Amemipiace il cinema.
Quindi come la mettiamo? La mettiamo che possono morire tutte le feste doposcuola per san valentino, san crispino, festa del coriandolo, festa dei gatti che miagolano sotto i tetti la notte, festa del cerchietto e del fiocchetto, festa del balletto classico con cena multietnica ma vegana e frutta infilzata nei bastoncini, festa della mamma più fregna del mondo e del papà meno assente con ricchi premi e cojons; ma al cinema ci si deve andare.
Amemipiace il metacinema.
Ma attenzione, perché con La la land il metacinema è un mezzo, non il fine. In questi giorni di mattanza socialmediatica, nei quali questo film di proporzioni colossali è stato giustiziato con commentini veramente risicati ed al limite della decenza, sembrerebbe che con "è un atto d'amore nei confronti del musical/cinema classico/jazz" si risolva tutto, se ne esca puliti. Anche un po' impettiti e dignitosi, come le camice stirate di Neil Simoniana memoria.
Mi spiace prendere sempre le parti di colei che delude le masse, ma La la land non è un atto d'amore nei confronti di bla bla bla. Non è neanche un film pulito, non è impettito né dignitoso. La la land è (come tutti i film incompresi dalla masse mediatiche critiche, ma che rimarrà nella storia del cinema per sempre) un prorompente capolavoro che rompe gli argini dei tempi in cui è generato e spazia in ogni forma artistica conosciuta sulla faccia della terra.
Il Gigante di Damien Chazelle dimostra che il fine ultimo dell'arte è l'amore/odio per la vita stessa, perché la città delle stelle non è Hollywood, ma quel punto irraggiungibile nell'iperspazio dove esiste il sogno che mai si avvererà. La vita che viviamo è in funzione di esso e la sacrifichiamo, rinunciando, a volte, a quasi tutto, compreso all'uomo di cui siamo innamorate. Non hanno capito coloro che identificano e tracciano le linee di una storia d'amore ritenuta banale, che il sogno di Chazelle è sempre e comunque irraggiungibile. Che la vita non è stretta nell'avversarsi di un sogno felice, ma è la responsabile principale dei nostri tentativi falliti di ottenere il massimo da esso: City of stars There's so much that I can't see.
Quando chiesero a Andy Warhol perché non si fosse inventato qualcosa di nuovo nella sua arte invece di copiare oggetti già esistenti (sembrano le domande che puntualmente vengono poste a Chazelle o a Tarantino) lui rispose: because making something new it's easier to do. Creare qualcosa di nuovo non-creando qualcosa di nuovo.
Prendiamo un regista trentenne qualsiasi, e chiediamogli di girare un film, quello che gli pare con la sceneggiatura che gli pare. Quale potrebbe essere la strada più difficile da percorrere nel 2017 se non un musical con una storia d'amore? Il linguaggio cinematografico, la forma scelta, era un rischio. Lo so che probabilmente valutare un film in base alla scelta della forma, è un qualcosa che non appartiene al fruitore generalista, ma probabilmente neanche a quello secondo il quale ciò che conta è il risultato e non come ci si arriva. Il punto focale è come si guardano i film, cosa ci si aspetta da un lavoro artistico, e le successive analisi. Non basta l'estasi del momento, al cinema. Nella settima arte occorrono mente e cuore, profondità di campo e piano sequenza. Le palpitazioni si uniscono all'esame del lavoro svolto, a tutti i particolari in esso contenuti. Quanto conta la sceneggiatura in un musical? Quanto la musica? Perché notiamo la storia d'amore, ma non il fatto che si passi dal jazz al valzer con una disinvoltura tale da rendere il contesto armonico assolutamente impeccabile e fluido rispetto a quello visivo o narrativo? La risposta sta tutta nel nostro modo di guardare un film. La musica è il cinema, in questo caso. Ma potrei citare tantissimi film nei quali diventa fattore imprescindibile, basti pensare a film come Il Padrino o C'era una volta il west, e non sono neanche musical. Nel nostro caso specifico lo è di più, è il fine ultimo. Quello che molti scambiano con 'amore per la musica'.
Il concetto di musica esteso a forma artistica che va oltre qualsiasi altra, fagocitando o inglobando tutto intorno a sé. Le arte visive si incastrano perfettamente in un pentagramma. Il pentagramma è lo scheletro, tutto il resto è corpo intorno all'anima della musica.
Nelle fotografie di Henri Cartier-Bresson (citato più volte nel film di Chazelle) la musica c'è pur non essendoci. C'è attraverso le immagini delle scale, attraverso gli elementi di leggerezza dei voli degli uccelli o delle persone sospese in salti quasi surreali. La leggerezza, è, a pensarci bene, a tutti gli effetti musica. L'espressione della danza, le movenze che devono ricordare l'aspetto etereo e impalpabile delle note, deve essere soprattutto leggera. Lo stesso concetto formale utilizzato da Chazelle, secondo il quale leggerezza espressiva è tutto ciò che si allontana dalla banalità.
Whiplash ci aveva fatto conoscere un autore. Ma la poetica portata nel film nel quale il sangue del sacrificio, personale e sociale, è necessario per raggiungere i risultati superando i propri limiti, in La la land prende il volo, si espande come un Big Bang di arte pop, ci porta non nella città delle stelle, ma fino alle stelle, attraverso quella sequenza meravigliosa del valzer fuori dall'osservatorio. L'autore cresce, dimostra di non avere preconcetti, né limiti, né remore.
Come Arte comanda, e come Arte vuole.

Amemipiace la musica

There's a starman waiting in the sky.
David Bowie

Le scale, la musica.



Le stelle, la leggerezza, la musica


Pop art

Il metacinema















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